Renzi di nuovo al centro del ring con un “uno-due” micidiale: e poi?
In poco più di un mese il quadro politico si presenta completamente terremotato.
E l’innesco del sisma in corso, reca la firma di Matteo Renzi che ha dimostrato, ancora una volta, di avere lo spirito, l’estro e la spregiudicatezza del giocatore d’azzardo professionista.
In un mediocre scenario in cui propaganda e comunicazione assorbono totalmente le finalità (e le capacità) degli attori politici coinvolti (Salvini e la sua bestia, Di Maio e la sua s.r.l.), è bastato un colpo di coda da animale a sangue freddo per mandare a gambe all’aria le velleità plenipotenziarie del capitano e costringere i 5stelle all’ennesima giravolta, la più imbarazzante tra le molteplici in cui si sono cimentati sinora.
Poi, manco il tempo di far prendere confidenza a neoministri, neoviceministri e neosottosegretari con i loro nuovi uffici ed ecco il rilancio.
Quella che in politica si chiama “sparigliata”.
E, più terra terra, scissione.
Singolare la scelta del 17 settembre. Che, di primo acchito, pare data un po’ iettatoria.
Bastava attendere tre soli giorni è l’evento sarebbe caduto in un anniversario, il 20 settembre, ben più pregno di significati.
Certo, per un democristiano (chè questo Renzi rimane, sia pure in versione cyborg) la breccia di Porta Pia, forse era un po’ troppo.
Comunque il “perché proprio adesso” settembrino resta un po’ meno avvolto nel mistero di quello agostano targato capitone.
Che Renzi ami giocare d’anticipo, infatti, è noto.
E, da un punto di vista squisitamente tattico, la sua manovra pare di quelle che si dicono “win win”.
Con un colpo solo prende, di fatto, il controllo del governo che può far cadere con uno schiocco di dita, si affranca da una condizione di minoranza in un partito che, a livello di apparato, lo detesta neanche troppo cordialmente, crea un contenitore che ha grandi potenzialità attrattive verso un elettorato che repelle sia il populismo sia il conservatorismo sinistrorso modello “ditta” e che, in massa, si è rifugiato nell’astensione, destabilizza il disegno bipolare che punta all’integrazione di PD e 5S contrapposti al cartello sovranista guidato da Salvini e che ha il suo massimo aedo in Franceschini (ben supportato, in controcanto, da Grillo medesimo).
Insomma è una di quelle mosse in grado di cambiare totalmente la fisionomia di una partita perché provoca, contemporaneamente, reazioni profonde su piani diversi.
Il suo limite, quasi banale dirlo, è proprio l’eccesso di tatticismo.Tutto un po’ troppo geometrico. Troppi gli incastri che apparentemente combaciano.
Con, addirittura, un capogruppo renziano che resterebbe nel PD per presidiare meglio un territorio da cui il capo si è posto fuori ma che punta, evidentemente, a condizionare ancora dall’interno. Non è roba che può reggere.
Ma si tratta di alchimie parlamentari. Possono cambiare o produrre reazioni impreviste senza che questo incida granchè sul piano generale.
La questione vera resta l’indeterminatezza di una strategia che, per essere tale, deve porsi un orizzonte che vada oltre la contingenza di un quadro politico che, comunque, doveva essere sbloccato.
Ed il dubbio è che, nella sua testa, Renzi un vero disegno strategico non ce l’abbia per niente chiaro.
E, magari, se ne freghi pure. Perché ciò che conta è la pugna e il suo condottiero.
Che l’uomo anteponga la sua ipercinetica ambizione all’articolare un tracciato da perseguire con calibrata e prudente tenacia, lo si è visto, e ampiamente, nella vicenda referendaria del 2016.
Una passione per il plebiscito che lo accomuna, del resto, al capitone. Entrambi ci si sono dolorosamente bruciati le penne.
E poco importa se l’uno, comunque, una riforma importante l’aveva portata a casa parlamentarmente e l’altro, invece, si cullava, con fanciullesco autocompiacimento, in sogni egemonici da “sceriffo d’Italia” con “pieni poteri”.
Tutti e due, alla fine, hanno autodistrutto il castello che avevano costruito per farci regnare il proprio ego.
Adesso Renzi, con un “uno due” davvero micidiale, è uscito dall’angolo rimettendosi al centro del ring.
Ma ci ha messo due anni e mezzo.
Il capitone è, invece, passato, dalla boxe al wrestling nell’arco di un mese. Dagli incontri per il titolo alle esibizioni. Le folle ci sono ancora, ma in palio, per il momento, non c’è nulla. E, intanto, attorno a lui, le cose cambiano.
E l’effetto “disco rotto” è dietro l’angolo.
Ormai è dato acquisito che, a certi livelli, il potere puoi conquistarlo solo ed esclusivamente se sei capace di metterti al centro della scena e far puntare su di te tutte le luci. Senza questa capacità puoi essere Cavour redivivo ma, senz’altro, non farai molta strada. Renzi è capace. Salvini pure. Grillo, addirittura, ci ha costruito, dal nulla un partito del 30%.
E gli scorsi due decenni la scena è stata monopolizzata dal più capace di tutti in assoluto.
E’ un requisito necessario, dunque. Ma non sufficiente.
I “rise and fall” degli ultimi anni ce l’hanno ampiamente insegnato.Renzi, nell’accingersi agli arrembaggi più arditi, in cuor suo ha maturato questa lezione?
Vabbè, al di là dei quesiti che tolgono il sonno, nel breve ci si cerca di accontentare dei cosiddetti “sollievi immediati”.
Io, ad esempio, preferivo andare a votare aborrendo qualsiasi ipotesi che continuasse a dare legittimità alla frode politica denominata 5stelle e ritenendo che Salvini, alla fine, non avrebbe conquistato nessun “pieno potere”.
Però, pur di fronte a un governo con Di Maio ministro degli esteri, mi accontento di non veder più il capitone in divisa ad ogni apertura di tg che straparla di “porti chiusi”, “zecche tedesche” ecc.
Ed è, appunto, un bel sollievo.
Allo stesso modo, l’iniziativa di Renzi mi dà il sollievo di pensare che, a tenere i 5 stelle al guinzaglio, ci sia lui e non, invece, Franceschini.