In chiusa di un decennio: i peggiori anni della nostra vita.

Gli anni 10 sono agli sgoccioli.
E se i 90 del secolo scorso non si stagliassero per il loro portato negativo sulle sorti italiche, potremmo tranquillamente archiviarli come i peggiori della vita repubblicana.
Tra gli uni e gli altri sussiste, del resto, una evidente connessione patologica.
Il male, neanche tanto oscuro, che ha trascinato il bel paese nelle penose condizioni deflagrate nel morente decennio parte da lì.
E la cosa è di tale nitore che diventa stucchevole rimarcarlo per la milionesima volta.
Fatto sta che, nella misura del tempo convenzionalmente adottata dagli umani, i decenni tendono tutti a caratterizzarsi in modo peculiare l’uno rispetto all’altro quasi prescindendo dalla loro natura, per l’appunto, convenzionale.
Sempre restando nel perimetro della storia repubblicana, lo stacco tra i cinquanta e i sessanta e, ancor di più, quello tra i settanta e gli ottanta è addirittura eclatante. Ci parlano letteralmente di mondi diversi. Segno, innanzitutto, di una società in ribollente evoluzione.
Dagli anni 90 in avanti tutto diventa meno netto.
L’Italia, che un tempo correva (anche incespicando in fasi drammatiche come tutta la stagione della violenza politica dei 70), comincia ad arrancare. E a raccontarsela, più che a viversela. Non si può dire che dalla falsa rivoluzione in avanti non ne abbiamo viste.
Anzi, ne abbiamo viste di tutti i colori.
Ma nulla che spostasse il paese di un millimetro dalla palude in cui era stato scagliato dal sovvertimento di poteri intervenuto nello sciagurato biennio 92/93.
Ci siamo trascinati, per quasi un ventennio, in uno sterile conflitto ruotante intorno alla figura di Berlusconi, colpevole di aver sbarrato la strada a un partito sconfitto dalla storia ma resuscitato dai giudici.
Per poi ritrovarci senza un passato prossimo degno di particolare interesse. Ed immersi in un presente privo di dignità.
Com’è noto, non sempre i decenni (intesi come “zeitgeist”) coincidono esattamente con il calendario che li scandisce. Capitano le sfasature.
I 70 iniziano con un sensibile anticipo, nell’autunno del 69.
E molti vedono lo spartiacque definitivo tra 70 e 80 nella vittoria del mondiale 82 (anche se io anticipo il passaggio ala nascita delle tv private che è databile 79, in fondo è questione di punti di vista).
E anche i 90 iniziano con un ritardo, questa volta indiscutibile, di due anni. Anzi, a volere essere precisi, di due anni e cinque mesi (il primo maggio 92 i due ex sindaci socialisti di Milano, Tognoli e Pillitteri, vengono raggiunti da avviso di garanzia: la slavina è cominciata e non si fermerà più).
Il presente decennio “in articulo mortis“, comincia, a tutti gli effetti, nel 2011.
A inaugurarlo e dargli il suo imprinting è la crisi verticale della stella berlusconiana.
La datazione ufficiale della “grande caduta” viene ascritta al novembre 2011, con il passaggio di consegne tra il cavaliere e l’uomo in loden. Personalmente ritengo più congruo anticiparla al giugno 2011, con la sconfitta del centrodestra alle elezioni comunali di Milano.
Quello, secondo me, è il vero punto di svolta. Persa Milano, Berlusconi ha già perso l’Italia.
Da lì siamo già a un passo dall’ingresso nel circo. Quello delle illusioni deluse, prima (Monti, Renzi).
E degli orrori cialtroneschi, poi (Grillo, Salvini).
Come per il decennio precedente la scansione degli eventi non è particolarmente appassionante da un punto di vista narrativo.
E men che meno storico. Più o meno tutto piccolo cabotaggio.
Dovremmo stare a ricordare il tonfo giudiziario della Lega bossiana del 2012? O la breve parabola montiana e la fine ingloriosa della sua sciolta civica? O la delusione di Bersani che, da figlio del benzinaio di Bettole, non riuscì a farsi premier?
Ma no, ma dai, che due strapalle sto alamanacco di piccolezze.
Alcune date hanno, invece, un grande rilievo da un punto di vista anamnestico.
E sicuramente, sotto il profilo patologico, il 25 febbraio del 2013 è un giorno di importanza cruciale nel diario clinico di un Italia già gravemente infetta.
Il clamoroso risultato, alle elezioni politiche, dei 5 stelle (“la più grande banda di teste di cazzo apparsa nella politica italiana” dirà lapidariamente qualcuno che ora non ricordo) segna il passaggio dai sintomi tumorali all’esplodere del fenomeno neoplastico.
Si dice che a innescare il “brutto male” spesso sia un episodio di natura traumatica (un grave lutto, la carcerazione, la perdita status ecc.).
E qui la finta rivoluzione di cui si diceva e il correlato sterminio delle famiglie politiche di maggioranza (alle elezioni del 92 il pentapartito era andato ben oltre il 50%), basta e avanza per esserselo coltivato.
Poi le cattive abitudini di vita. E anche in questo caso non ci siamo fatti mancare nulla.
Dal 92/93 ad oggi l’Italia è come se avesse cominciato a fumare come un turco, bere come un hooligan per di più alcolici da quattro soldi, ingozzarsi di junk food, fare vita totalmente sedentaria e qualsiasi altro esercizio idoneo a scassarne l’organismo.
Questo sono state le predicazioni giustizialiste, la demonizzazione degli avversari politici e relativa metodologia denigratoria come metodo preponderante di lotta politica, la giustizia politicizzata e relative piccole e grandi carriere di modestissimi ma ambiziosissimi burocrati in toga (per la più parte di PM) taluni con un proprio partito di malfattori al seguito, le riforme mancate e l’aumento costante della spesa pubblica corrente, l’informazione ridottasi al pettegolezzo scandalistico contrabbandato come inchiesta e foraggiato da veline giudiziarie, verbali di intercettazioni e altro materiale opportunamente selezionato da questa o quella procura e.. Insomma, l’elenco delle cattive abitudini di cui l’Italia si è pasciuta è lungo. Inevitabile che, prima o poi, le venisse un cancro.
E quel cancro sono i cinque stelle.
Ne hanno tutte le caratteristiche.
Innanzitutto l’origine non facilmente perscrutabile. Una truffa politica orchestrata a tavolino da un guitto in disarmo e da un professionista del marketing.
Difficile credere che, per giungere al successo che ha raggiunto, non si sia giovata di appoggi e indirizzi da parte di entità di ben diversa caratura cui, evidentemente, è funzionale lo scardinamento della democrazia italiana e della sua residua potenza politica. E poi l’agire del morbo.
Che non solo aggredisce dall’interno gli organi vitali ma scempia e sconcia l’aspetto esterno del malato fino a renderlo un lontanissimo ricordo di ciò che era in salute.
Nel caso di specie con un surplus raccapricciante di deformità, purulenze, incontinenze e putrefazioni.
Solo in questa chiave di sconcezza patologica è possibile dare un senso all’osceno spettacolo di istituzioni occupate da personaggi come Di Maio, Toninelli, Castelli, Fico, Bonafede, Lezzi e giù giù a discendere un abisso di nullità di cui non si vede il fondo e che (per dirla con Wozzeck) “dà le vertigini solo a guardarlo.
L’aver dovuto assistere alle performances tragicomiche di questi figuri alle prese con responsabilità di governo costituisce un’umiliazione nazionale che non ha precedenti.
Una pagina nera.
Una macchia indelebile nella nostra storia repubblicana.
Inutile dire che gli ultimi due anni del decennio sono difficilmente qualificabili per quanto incredibile sia la serie di aberrazioni e di autentiche idiozie che i due governi che vi sono susseguiti presieduti dallo stesso tizio (l’azzimato professorino di provincia fattosi statista nel giro di un’estate) hanno scaraventato sulla società italiana.
Al cancro dei 5stelle, poi, si è sovrapposta un’altra patologia. Potenzialmente esiziale di suo. Ma di natura diversa. Più simile al virus che alla degenerazione cellulare. E, in quanto tale, suscettibile di essere superato e riassorbito.
Il suo nome è salvinismo.
Categoria di recente conio, che aspira a far di sè la servizievole valletta del putinismo, del trumpismo, dell’orbanismo e via “uomoforteggiando”. E per farlo non ha pudore alcuno a ricorrere agli espedienti propagandistici più culturalmente retrivi sia pure in salsa ultratecnologicamente social. Già, perchè gli anni 10 sono stati anche (per taluni soprattutto) il decenio dei social networcks.
Al netto della modernità della sua metodologia comunicazionale, non c’è nulla di nuovo negli spauracchi agitati da Salvini (lo straniero che ci invade e che, se non reagiamo, ci assorbirà).
E nemmeno nelle sue mitologie (lo stato sovrano, la fede superstiziosa, le forze dell’ordine con il pugno d’acciaio).
Tutto un trovarobato reazionario che molti trovano entusiasmante. Altri spaventoso.
E io, personalmente, innanzitutto indecoroso nella sua risibile velleitarietà.
Una cosa è certa. Se mai dovesse imporsi non porterà nulla di buono.
Non una dittatura. Ci vuole ben altra tempra.
Ma di sicuro l’ennesima delusione di roboanti e palingenetiche aspettative.
Messi da parte la cialtroneria e il repertorio da avanspettacolo con cui ci ha malamente intrattenuti, chiudiamo un decennio grigio.
E lo chiudiamo al capezzale di una malata grave. 
Per gli anni 20 si ha da darsi una e una sola priorità: sconfiggere il morbo.
E il primo obbiettivo è disintegrare le formazioni tumorali, espellerle dal corpo, stroncarne la degenerazione.
Poi si potrà decidere se conservarle in formalina.
E, ogni tanto, guardare lo schifo che abbiamo consentito crescesse nell’organismo.
Addio anni 10. Sarà bello dimenticarvi.

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