I doveri dell’opposizione al tempo dell’emergenza virus.
Esattamente un mese fa, come oggi, stavamo vivendo l’ultimo giorno relativamente normale prima che l’incubo entrasse nelle nostre vite.
Credo che siamo stati in molti ad aver capito, già dalla serata di giovedì 21 febbraio, che la situazione fosse grave.
Anche se ricordo che, quella stessa sera, alla domanda “ma adesso non è che Milano diventa come Wuhan?” risposi uno svagato “ma no, non è possibile, non esageriamo con le paranoie”
E, invece, trenta giorni dopo non siamo messi molto diversamente, qui sotto la Madonnina.
In questo mese non se ne è salvato nessuno dall’inciampare in proclami contraddittori nell’arco di qualche giorno. Nessuno.
Tutti hanno detto tutto e il contrario di tutto. Tutti.
Tra i politici in maniera eclatante (a partire dal “riaprire tutto” al “chiudere tutto” nel giro di meno di una settimana in cui si sono esibiti diversi “maestri della comunicazione”).
Ma anche il mondo delle scienze ha sbandato non poco (qualcuno ricorda la “banale influenza”?).
In questo momento, con una fase di picco che incombe su mezzo nord Italia, non ci sarebbe esercizio più ozioso (e anche cretino) che recriminare su ciò che è stato e stilare la classifica di chi l’ha detta, o fatta, più grossa.
In questo momento vale solo l’oggi e il domani.
Su ognuno di noi il dovere di attenersi alla nota prescrizione di stare a casa propria.
Ma anche il diritto di pretendere risposte urgenti, chiare ed adeguate ai profili emergenziali.
E di attendersi, dall’opposizione, atteggiamenti di rigorosa serietà.
Che non vuol dire un generico “evitare polemiche”. Se il governo assume scelte non all’altezza (i 25 miliardi contro i 200 della Spagna, ad esempio), o ritarda e impastoia gli interventi più basici (la gara consip per le mascherine!!!), è un preciso dovere dell’opposizione incalzarlo senza sosta.
Ciò che sarebbe inaccettabile da un’opposizione che voglia essere all’altezza della gravità del momento, è il cadere nella consueta propaganda, ritenendo che nemmeno il virus sia stato in grado di interrompere la campagna elettorale permanente in cui viviamo da anni.
In tal senso è un segnale pessimo l’uscita di Salvini (giusto per fare nomi) che, mentre il contagio si sta diffondendo nelle patrie galere con diversi detenuti e diverse agenti di polizia penitenziaria risultati positivi, non trova di meglio che enunciare il solito slogan pseudosecuritario “nessuno svuotacerceri”.
Che qualcuno gli spieghi (e nel suo partito le teste pensanti non mancano) che, di questo passo, il più grande svuotacarceri della storia repubblicana sarà il virus stesso.
E ci sarà poco da fare gli intransigenti tutori del “pugno di ferro” contro i reprobi associati alle patrie galere (magari perché si teme un “sorpasso a destra” da un proprio competitor d’area).
Se il morbo deflagra dietro le mura di cinta e irrompe nei reparti (cosa che, senza una robusta deflazione della popolazione carceraria avverrà inevitabilmente nel giro di qualche giorno) non ci sarà altra scelta possibile che evacuare.
Capito la parola? Evacuare.
Altro che “no a qualsiasi forma di svuotacarceri”!
O qualcuno può seriamente pensare che, laddove non si faccia nulla o si faccia troppo poco per portare il numero dei carcerati ben al di sotto della capienza regolamentare (oggi “sfondata” da esuberi pari al 120%!) e, dunque, rendere possibile quel minimo di gestione dell’emergenza, basterà serrare ancora di più le porte d sicurezza e lasciarci dentro i detenuti come topi in trappola, per contenere il problema?
A quel punto avremmo 60.000 rinchiusi che avrebbero l’assoluta certezza di non aver più niente da perdere. E di essere totalmente esclusi dal consesso civile e i suoi diritti più basilari (come quello alla salute).
E cosa fa un escluso che non ha più nulla da perdere?
Non gli resta che la rivolta.
Con il carico di rabbia che il senso di esclusione sappiamo fa sempre esplodere.
E, allora, le violenze (e le morti) di settimana scorsa sarebbero rose e fiori rispetto al disastro fuori controllo che si prospetterebbe in pressochè tutti gli istituti di pena italiani.
Con la polizia penitenziaria tra l’incudine e il martello.
Nel ruolo disperante di vittima e custode di altrettante vittime in un comune destino di prigionia infetta.
Il baratro è lì, a un passo.
Si mettano da parte ideologismi e petizioni identitarie.
Anche quelle forze politiche che ostentano, fiere, il marchio del “law and order”, considerino la realtà con la dovuta pragmaticità.
Nessuno potrà rimproverare loro di aver ceduto al lassismo piuttosto che al buonismo.
Non c’entrano nulla con i provvedimenti che vanno assunti nel più breve tempo possibile.
Se non si fa qualcosa per impedire che le carceri esplodano si sarà compiuto il peggior misfatto proprio nei confronti di quel “legge e ordine” di cui ci si dice paladini.
Stefano Pillitteri