Abbasso la prescrizione, viva la forca!

La sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, che sia di condanna o di assoluzione, significa, di fatto, abrogare un istituto giuridico di basilare civiltà.

L’idea che lo stato possa perseguire in eterno un suo cittadino appartiene, in fatti, ad una visione totalitaria che non ha nulla a che fare con la giustizia come la intendiamo, quanto meno, dall’epoca dei lumi. E molto con l’inquisizione cinquecentesca. Anche se si tratta di richiami storici sin troppo colti considerato da chi promana l’iniziativa e quale ne è il substrato sottoculturale. Com’è noto, infatti, l’emendamento al decreto sicurezza che dovrebbe stravolgere totalmente il nostro già malandato sistema penale, non è stato presentato da un  qualsiasi “peone” parlamentare desideroso di facile visibilità e in vena di provocazioni. Ma dal Ministro di Giustizia in persona. Per di più, a quanto risulta, pure avvocato.  Non è chiaro se si tratti di una mossa tattica funzionale a chissà quale trattativa con l’alleato leghista e per chissà quale ambito. Il “governo del cambiamento”, del resto, risponde solo ed esclusivamente a questa logica: io ti concedo questa cosa, tu mi concedi quest’altra. Ovviamente in contraddizione l’una con l’altra. Ti strappo un po’ di flat tax. E ti sgancio un po’ di rendito di cittadinanza.

Che l’aumento della spesa assistenziale sia in contraddizione con il taglio delle tasse (che non può che passare da quello della spesa pubblica)  poco importa. Abbiamo accontentato i due elettorati. E a spesa di Pantalone. Dunque quello che costituirebbe un mutamento epocale con ricadute drammatiche sui cittadini, definitivamente retrocessi al ruolo di sudditi, e sui processi, destinati a divenire interminabili e ad accumularsi caoticamente a centinaia di migliaia come nel più buio dei gironi danteschi, ben potrebbe rispondere a miserabili logiche interne di natura più o meno estorsiva. Ma prendiamo, invece, per buono di essere al cospetto di un’iniziativa, per così dire, qualificante da un punto di vista politico.

E cerchiamo, con tutte le difficoltà del caso, di entrare nella testa del Ministro estensore.

Una catabasi agghiacciante in cui, però, ci fanno da guida le dichiarazioni del ministro stesso. Ed una in particolare. “Con la sospensione della prescrizione la durata dei processi diminuirà perché gli avvocati non avranno più interesse a far perdere tempo”.

Una frase in cui c’è tutta la cupissima visione antropologica non solo del Ministro pro tempore ma della sua compagine stellata di appartenenza.

L’azione penale e il processo sono gli strumenti con cui il moloch statale combatte l’esercito dei cattivi venendo subdolamente contrastato dai loro prezzolati accoliti: gli avvocati. La prescrizione non è un presidio minimo per tutelare il singolo dal potere soverchiante della funzione punitiva esercitata dallo Stato ma un odioso meccanismo al servizio di chi vuole farla franca “allungando il brodo” dei processi. In un paese che non è mai riuscito a sviluppare (per ragioni storiche e sociologiche che impegnerebbero diversi volumi) una sua cultura delle garanzie e che, invece, sente forte il richiamo di gogna e forca, non è, del resto, un pensiero minoritario.  Difficile scalfirlo con petizioni di principio cui la prevedibile risposta  sarebbe “vergogna: stai coi ladri, i corrotti, gli omicidi, gli stupratori, ecc.” E, infatti, molti strenui difensori della “costituzione più bella del mondo”, che pur contempla il “giusto processo”, se ne stanno opportunamente zitti nonostante l’evidente strame al dettato della nostra amata “carta”. Dunque, lasciamo perdere.

E vediamo, invece, se le superstizioni del Ministro hanno un loro fondamento.

E se è vero che la prescrizione, qui da noi, dipende dall’eccesso di garanzie e dalla perfida abilità degli azzeccagarbugli. Come sa qualsiasi operatore della giustizia penale, il lasso di tempo più significativo in cui matura la prescrizione, nelle fasi che vanno dall’incriminazione ai tre gradi di giudizio, è quello che passa tra le indagini e l’udienza preliminare. La maggior parte delle inchieste che si estinguono per intervenuta prescrizione, vanno a morire proprio in quei frangenti. In cui la possibilità dei difensori di frapporre ostacoli alla gioiosa macchina  punitiva è prossima allo zero. Molti processi (segnatamente quelli per reati ordinari per cui si applica il tetto minimo che è pur sempre di 7 anni e mezzo) muoiono, invece, tra il primo e il secondo grado.

E, semplicemente, perché l’udienza di appello viene fissata anche a quattro o addirittura  cinque anni di distanza dalla condanna in primo grado. E, anche lì, gli avvocati non si capisce che c’entrino. Sono tempi che dipendono solo e unicamente dai Giudici.

E’, dunque, evidente che quella del Guardasigili è una caricatura grottesca che non ha nulla a che fare con la realtà quotidiana dei nostri Tribunali. Peraltro i più condannati nel mondo occidentale per “eccesiva durata dei processi”. E non a caso.

Ma nell’universo immaginario dei forcaioli a 5 stelle, è un grottesco che scalda i cuori.

E se mai l’emendamento dovesse essere approvato,  si prevedono ulteriori feste al balcone. E quello che si festeggerà è che un tizio che,  incappato a 20 anni in uno qualsiasi dei nostri precetti penali (e non è poi così difficile), possa essere finalmente punito per la sua nefandezza anche una volta traguardata la sessantina.  Poi, magari, lo assolvono a 50. Ma quelli sono errori giudiziari.

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