DDL Zan; dilettantismo o furbizia?

Volendosi immaginare la reazione di Marco Pannella (uno che di battaglie per diritti civili se ne intendeva) alla bocciatura parlamentare del disegno di legge Zan più che il classico rivoltarsi nella tomba, viene in mente una grassa e cavernosa risata.
I sedicenti alfieri del bene, infatti, sono riusciti a modellare un esempio, al momento insuperabile, di come non si debbano maneggiare certe materie, se si vuole portare a casa un risultato utile.
Visto che il disegno di legge è, a tutti gli effetti, defunto e, come noto, non sta bene parlare male dei morti, ci si può astenere dal ribadire le critiche di merito a un provvedimento di rara sgrammaticatura giuridica.
E concentrarci sulla cocciutaggine autolesionistica con cui il PD ha voluto blindarne il contenuto andando a una prova di forza il cui esito era scontato da mesi e su cui, in diversi del centrosinistra (su tutti Italia Viva) avevano lanciato dei warning ben precisi.
E la domanda, per così dire, sorge spontanea.
Possibile che quelli cui viene attribuita, più che a tanti altri, una professionalità politica temprata in anni e anni di battaglie parlamentari oltre che di esperienza di governo, si siano dimostrati più dilettanteschi, maldestri ed ingenui dell’ultimo cinquescemo oltranzista?
 Ventitre voti di scarto (e un numero di franchi tiratori che viene computato nell’ordine delle decine) sono la fotografia di una debacle, e non di un errore di calcolo giocato su qualche unità di voto, come capitò al povero Parisi quando Prodi cadde in aula nel lontano 1998.
E il dubbio, allora, sorge altrettanto spontaneo.
Ovvero che la rovinosa caduta sia stata scientemente messa in conto da Enrico Letta un po’ per liberarsi da un tormentone di cui, fuori da ipocrisie finto progressiste, era chiara la formulazione sgraziata ed insidiosa, un po’ (ma direi soprattutto) perché funzionale alla messa in scena del consueto teatrino cui si è ridotta, da tempo, la politica nostrana.  
Il teatrino dell’esercito del bene che lotta a viso aperto e con l’ardimento di un Toti (quello con la stampella, non l’attuale Presidente della Regione Liguria) contro le forze oscure del male  per far si che la strada dell’allargamento dei diritti prosegua a passi spediti.
Il copione prevede, ovviamente, che molti siano gli ostacoli che gli indomiti combattenti del bene incontrano nella loro pugna.
Tra cui, il più insidioso, è quello dell’intelligenza con il nemico di alcune truppe ascare, pronte a vendersi alle forze oscure se non, addirittura, a coltivare progetti di collaborazione organica con le stesse.
Lo zelo, piuttosto comico, con cui, a partire da  un minuto dopo  l’approvazione della tagliola, pressoché tutta la dirigenza PD si è scagliata contro “Renzi d’Arabia” e la sua pattuglia di senatori dandone per acquisito il tradimento, non va che a confermare l’ipotesi teatrinesca.
Noi siamo i buoni! Ce l’abbiamo messa tutta ma proprio tutta contro i cattivi. Abbiamo portato in aula un disegno di legge  che poteva essere bocciato solo da personaggi turpi e retrogradi. Ma una componete dei nostri si è messa con i cattivi. Noi, ancorchè amareggiati,  abbiamo la coscienza a posto. Chi è venuto meno ai suoi doveri faccia i conti con la sua!”.
Questo il canovaccio. Che, peraltro, corrisponde perfettamente alla matrice auto attributiva di superiorità morale che, da sempre, connota il PD (e prima i DS, il PDS e naturalmente, sia pure con diversa impalcatura ideologica, anche il P.C.I.).
Peccato, però, che il numero dei traditori che hanno inguacchiato nel segreto del voto (volendo mutuare lo slang volgarotto usato dal medesimo Letta) sia di molto superiore a quello dei 12 senatori di IV presenti in aula.
Anche ipotizzando che tutta la truppa renziana abbia affossato, come un sol uomo, il disegno di legge (e nessuno ne ha le prove) è un dato squisitamente aritmetico che la faglia abbia attraversato tutto il centrosinistra allargato ai cinquescemi.  
Dunque il teatrino che dovrebbe rappresentare  la dolente apoteosi dei “buoni” pugnalati alla schiena, trasmette, invece, perlomeno al pubblico più avvertito, l’ennesima immagine di impotenza politica.
E non c’è buona causa che tenga a giustificare un fallimento accettato come ineluttabile.
Al di là della fola per cui le minoranze lgbt si ritroverebbero, ora, prive di protezione contro le malvagità degli  omotransfobici (ovvero, nella narrazione corrente in certi ambienti, tutti coloro che osavano criticare il DDL Zan), questa deprimente pagina parlamentare rivela, ancora un volta, il grande problema del paese.
Che è la totale assenza di una politica intesa come capacità di incidere sull’esistente.
L’attuale politica italiana è, per l’appunto, solo questa roba qui, un mediocrerrimo e incessante gioco delle parti a somma zero.
Che, apparentemente, può essere ricondotto alla regressione a uno stadio di infantilismo velleitario che, tra l’altro, non stupisce in un parlamento composto, per oltre un terzo, da autentici scappati di casa.
Ma, in realtà, a mio parere risponde più  una sorta di rassegnato cinismo.
Sta di fatto che un grande e complesso paese come l’Italia non può essere gestito in questo modo.
E infatti non lo è. Ma il commissariamento di Draghi non può essere eterno (purtroppo…).
E dopo di lui dobbiamo tornare a ritrovarci sta roba e basta?         

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